LE ISOLE CANARIE IN DANTE, PETRARCA, BOCCACCIO: IL RISCATTO DALL’OBLIO

12/8/2024
Editoriali

Sappiamo poco delle Isole Canarie durante l’Alto Medioevo.

La cultura antica, risalente all’epoca romana, greca o bizantina viene per lo più trascurata, quasi dimenticata e in generale i viaggi alla scoperta di nuove terre si riducono moltissimo, fino quasi a scomparire. L’Oceano Atlantico costituiva una barriera insuperabile a causa delle credenze mitologiche dell’epoca e le navi non si avventuravano certo verso l’ignoto, per paura di andare incontro a seri pericoli.

Pertanto, la conoscenza che il mondo medievale aveva delle Isole Canarie si era perduta nell’oblio. Il primo contatto, o per meglio dire il riavvicinamento con l’arcipelago canario avvenne soltanto nel Basso Medioevo, mentre si attraversava il periodo pre-rinascimentale di transizione verso il Rinascimento. I primi viaggi in direzione delle Isole Canarie si realizzarono verso la fine del XIII secolo, o probabilmente ancor prima e si fecero sempre più frequenti nel successivo XIV secolo.

Si trattò di viaggi per lo più a scopo commerciale, con partenza dall’area del Mar Mediterraneo, che videro come protagonisti assoluti i genovesi, seguiti da catalani e maiorchini e poi via via, da portoghesi e castigliani. Fu così che i fratelli Vivaldi, genovesi, organizzarono il primo viaggio dell’epoca alla ricerca di nuove rotte per giungere alle Indie.

Ma fu un altro italiano, sempre di origine genovese, Lanzarotto Malocello ad arrivare a Lanzarote, la più settentrionale delle Isole Canarie nel 1312, secondo la maggioranza degli studiosi. A detta isola il Malocello diede il suo nome e nel 1339 questo territorio comparve nel portolano disegnato dal cartografo maiorchino di origine – anch’esso – italiana, Angelino Dulcert (Si veda in propósito Lanzarotto Malocello, dall’Italia alle Canarie, di A.Licata, Roma,2012 Ed. CISM – Stato Maggiore della Difesa). Successivamente altri viaggi oltre le Colonne d’Ercole furono intrapresi per recarsi alle Canarie, sia da altri italiani che da spagnoli e portoghesi, fino alla conquista armata dell’Arcipelago e alla sua successiva colonizzazione.

Le Canarie, quindi, a metà del XIV secolo risultavano ormai ben note. È la letteratura che di tutto questo brano di storia ci rende valida testimonianza, laddove i maggiori letterati italiani, nelle loro stupende e immortali creazioni, lambiscono, invocano e descrivono le Isole Fortunate con una sorta di adulazione. Il nostro sommo poeta Dante Alighieri, padre della lingua italiana, cita le Isole Fortunate espressamente solo una volta in un passo del “De Monarchia”:  <<Europa vero antiquissimo, scilicet Dardano: Africa quoque avia vetustissima, Electra scilicet, nata magni nominis regis Athlantis …Quod vero Athlas de Africa fuerit, mons in illa suo nomine dictus est testis, quem ese in Africa dicit Orosius in sua mundo descriptione sic: “Ultimus autem finis ejus est mons Athlas et insulae quas Fortunatas vocant. Ejus, id est Africae,quia de ipsa loquebatur…”>>.

E’ però ritenuto pacíficamente che nel canto XXVII dell’Inferno della Divina Commedia il poeta faccia allusione, pur senza mai nominarle, proprio alle Isole Fortunate, collocandovi niente meno che l’impianto imaginario dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso.

Vediamo poi, a seguire, Giovanni Boccaccio che dedica alle Isole Fortunate un’intera sua opera, trattandosi della cronaca della spedizione navale portoghese intrapresa nel 1341 con alla testa comandanti pur sempre italiani, quali Nicoloso da Recco ed Angiolino del Tegghia da Corbizzi, dal titolo “ De Canaria et insulis reliquis noviter repertis” (rinvenuto soltanto nella prima metà dell’800), nella quale può cogliersi lo sguardo antropologico dell’autore a seguito dell’incontro con la lingua, il costume e la fede religiosa deli nativi abitanti nell’Arcipelago, segnando peraltro, con tale racconto di viaggio, la fine di una concezione classica di queste isole, allora dominante.

Il testo propone infatti una serie di tematiche che diverranno successivamente una costante nelle relazioni di viaggio, tra cui la nuditá degli indígeni, la forma e la tecnica di costruzione delle loro case: <<Hii vero intrantes domos eas vividere ex lapidibus quadris compositas mirabili artificio et lignis ingentibus ac pulcerrimis tectas… domus vero cum essent pulcerrime et lignis pulcerrimis contecte, introrsum omnes eran albissime tamquam ex gipso viderentur albate>> (“Entrati nelle case, le videro fabbricate di pietre squadrate con arte meravigliosa, e ricoperte di legni grandissimi e bellissimi [...] Le case, fatte com’erano di pietre bellissime, e di bellissimi legni, erano dentro imbiancate che parevano di gesso”).

Questa prima descrizione venne poi seguita da un’altra degli indígeni sulla spiaggia, dove alcuni di essi vengono descritti come “vestiti di pelli tinte di rosso o di giallo e cucite con molta arte” nonchè come “forti, coraggiosi ed assai intelligenti, agili, allegri, amichevoli e rispettosi l’un con l’altro”. Anche un altro grandissimo scrittore, Francesco Petrarca, menziona le Canarie in alcune sue opere quali “Il Canzoniere” ( “[...] Verdeggiava de intorno un prato pieno di bianche rose e zigli e d’altri fior vermigli, tal che ne la memoria mi rendeno queste isole beate, là dove era, dove se infiora eterna primavera”), ma soprattutto nel “De Vita solitaria”(scritta nel 1346) nel cui seguente passo possiamo leggere: <<Pretereo Fortunatas Insulas, que extremo sub occidente ut nobis et viciniores et notiores, sic quam longissime vel ab Indis absunt, vel ab Artho, terra multorum sed imprimis Flacci lyrico carmine nobilis, cuius pervetusta fama est et recens. Eo siquidem et patrum memoria, Ianuensium armata classis penetravit, et nuper Clemens VI illi patrie principem dedit, quem vidimus, hispanorum et gallorum regum mixto sanguine generosum quendam virum [...]” (“Tralascio ancora le isole Fortunate che, poste nell’estremo occidente, sono per noi abastanza vicine e conosciute, ma distano moltissimo dall’India e dalle regioni settentrionali, terra decantata da molti poeti, ma soprattutto in una lirica di Flacco, e la cui fama è antichissima e recente. Fin lá infatti, a memoria dei nostri padri, penetrò una flotta armata di Genovesi, e recentemente Clemente VI diede a quella terra un príncipe che abbiamo visto, un nobile uomo, discendente di re spagnoli e galli […]"). Petrarca attribuisce la riscoperta delle Canarie ad una flotta armata genovese e fa riferimento alla “memoria dei nostri padri” e quindi colloca la datazione della stessa agli ultimi decenni del XIII secolo (1291, spedizione dei Vivaldi -?- ) o forse, al principio del secolo XIV, possibilmente pensando al viaggio del Malocello (1312).

Vale la pena tuttavia evidenziare che il letterato assume una posizione del tutto diversa dal Boccaccio, esprimendosi con giudizio poco lusinghiero e alquanto critico sugli indígeni abitanti delle Isole riscoperte, rilevandone altresì chiaramente l’istinto selvaggio e l’assoluta carenza culturale.

Da allora, le Isole Fortunate oggi denominate Canarie, per merito di questi famosi letterati, ma anche grazie al contributo determinante della cartografia, escono dall’oblio ed entrano a pieno titolo nella storia moderna.


*Presidente della Società Dante Alighieri-Comitato delle Isole Canarie

* Presidente del Comitato Internazionale delle Celebrazioni del VII Centenario della riscoperta delle Isole Canarie da parte del navigatore Italiano Lanzarotto Malocello (1312-2012)

*Corrispondente Consolare d’Italia in Lanzarote

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