Lettera Aperta - Il paradosso dell’autismo (grado 1)

24/6/2024
Editoriali

Articolo completo per pagina web, avviso di traduzione: Il testo che state per leggere nasce in lingua spagnola. Per agevolare la fruizione da parte dei lettori italiani, ne è stata realizzata la traduzione, a cura di una persona che conosce bene l’autrice. La traduzione che state per leggere, pur cercando di essere il più fedele possibile al testo originale, potrebbe presentare alcune differenze per cercare di rendere al meglio il pensiero che l’autrice voleva esprimere.  

Qualcosa di curioso riguardo a noi persone autistiche (specialmente se donne e persone di diversa etnia) è che trascorriamo gran parte della nostra vita circondate da etichette. In realtà, tutti viviamo etichettando e venendo etichettati, ma, anche se questo può comportare pregiudizi, non deve per forza essere qualcosa di negativo; è semplicemente un’abitudine umana per classificare le informazioni che riceviamo ogni giorno, mettendole in piccole scatole con i relativi nomi.

Spesso, ad alcune persone, specialmente a noi neurodivergenti, vengono date etichette basate sul nostro modo di essere, spesso dispregiative, con l’obiettivo di “correggere” o addirittura “eliminare” tratti naturali della nostra personalità.

Sono molte le etichette, un vasto e ampio ventaglio direi, o almeno così sembra, anche se alla fine convergono tutte in un unico aggettivo molto contraddittorio: “Troppo”. O il suo contrario; “Insufficiente”. Funzionano spesso come “Troppo per quello che non dovresti essere così tanto, e insufficiente per ciò in cui dovresti essere di più”.

E accade qualcosa di curioso quando cresci credendo di occupare uno spazio enorme che non ti appartiene (anche se non lo fai volontariamente), ed è che cominci a chiedere al mondo: “Se occupo così tanto spazio e “ingombro” così tanto, quanto piccolo vorresti che fossi?”. Ed è pericoloso.

Raramente ci viene data un’etichetta che ci “tuteli”, una che aiuti gli altri a capirci e comprenderci nonostante tutto, una che definisca e non limiti, una che nasca con l’obiettivo di renderci visibili e non di nasconderci. Questa etichetta, “Neurodivergente”, “affetto da autismo”, “Grado uno, due, tre”, è un privilegio, non tutti ne abbiamo diritto a quanto pare e, nonostante sia complesso ottenerla e possa essere molto di aiuto a livello personale, spesso viene messa in discussione, negata o fraintesa. O usata come insulto.

Ecco, le etichette sono molto complicate, perché le persone sono complesse, diverse e piene di sfumature. Ma c’è qualcosa di diverso quando ti indicano come “Neurodivergente” o “Autistico”, e cioè: davanti all’incontro con qualcosa di sconosciuto, le persone tendono a confinarci in piccole scatole che classificano come dannose. Ci definiscono “strani, intensi, disobbedienti, disordinati, impazienti, sensibili, distratti, ecc.” Quindi cosa faccio, anziché lasciare a te, una persona neurotipica, il compito di mettermi nella scatola in cui credi che dovrei stare, preferisco tenere stretta me stessa e mettermi da sola nella scatola che mi spetta.

E’ difficile farlo, scegliere di mettermi nella scatola che spiega chi sono, che sebbene non mi protegga quanto vorrei, mi offre comunque conforto e autoconoscenza. È difficile farlo quando non ci viene dato il difficile privilegio della diagnosi, che nel caso delle persone neurodivergenti, spesso è un grande sollievo personale.

Si pensa spesso che questa etichetta ci isoli e ci tolga opportunità, ma la verità è che questo non ci cambia, non c’è una linea che divide il prima e il dopo. O forse sì, sì, in effetti c’è. Quando una persona autistica socializza con gli altri senza sapere di essere autistica, di solito viene respinta, guardata male o fraintesa, ed è inevitabile che il pensiero “Non sono normale, devo correggere ciò che c’è di sbagliato in me” affiori.

Quando una persona autistica socializza con gli altri sapendo di essere autistica, riceverà lo stesso trattamento riservato agli altri, forse un po’ di accondiscendenza in più o qualche briciolo in più di pazienza. Forse questo non eliminerà la bassa autostima, l’insicurezza o la paura, ma aiuta a combattere la convinzione di essere “difettosi”, perché non siamo difettosi, funzioniamo semplicemente in modo diverso in una società che non è stata progettata per noi.

E oggi, mi chiedo spesso se è davvero progettata per beneficiare molti, anziché pochi.

Quando sei autistico, con il tempo impari a plasmare te stesso il più possibile (e probabilmente anche più di così) affinché le persone non solo ti accettino, ma smettano anche di abusare di te. È comune perdersi, pensare che ci sia qualcosa di così sbagliato che una conclusione popolare di molte persone neurodivergenti è “essere nati male, essere difettosi”.

Il fatto è che non è una sorpresa arrivare a questa conclusione quando direttamente e indirettamente ti trattano come se fosse un dato di fatto, una verità assoluta, perché secondo molti c’è qualcosa di sbagliato in te, ma non c’è mai nessuno che spieghi davvero che non è così, specialmente se sei una persona trans, una donna (cisgender o trans) o una persona di diversa etnia, e questo ti lascia con delle incertezze grandi, non risolte.

L’autismo è neutrale come molte cose, non è buono né cattivo, ma è doveroso dire che le persone che ne sono affette, affrontano una grande solitudine, così come spesso anche le loro famiglie, specialmente quando la stessa famiglia decide di “immedesimarsi” nella persona autistica, perché immedesimarsi permette di vedere in modo più chiaro la vita quotidiana di un neurodivergente. Ed è molto curioso il fatto che a molte persone autistiche venga detto che non possono

fare certe cose, ma poi gli venga chiesto di funzionare come persone neurotipiche, qualcosa che non può realmente accadere in un cervello neurodivergente, è chiaro. È curioso che quando sei autistico, nessuno sembra avere problemi finché non vedono che funzioni davvero in modo diverso da loro, che ci siano dei limiti invalicabili perché la società è costruita in modo tale che tu non possa essere incluso.

Quando prendi spazio, ti viene insegnato che stai dando fastidio. Le persone neurodivergenti sono uniche come lo sono le persone neurotipiche. Il ventaglio neurodivergente è così ampio che anche tra molte esperienze condivise, molti autistici di grado uno non hanno assolutamente nulla in comune l’uno con l’altro, ed è questa la bellezza della diversità.

Forse questo scritto non toccherà le corde di nessuna persona autistica o neurodivergente, o forse sì; forse susciterà rabbia o tristezza, o forse un po’ di gioia, non è qualcosa che posso sapere in questo momento. Ecco perché ho deciso di condividerlo con il mondo, o almeno con chi leggerà questo giornale, perché un bel giorno mi è stato detto che qui ci sarebbe stato spazio per la voce dei giovani, e io mi sento una persona che ha vissuto molte vite; la mia è lunga ma allo stesso tempo corta, ma ciò non toglie che, a poco più di venti anni, sono una giovane donna frutto di tutte le persone reali e immaginarie che ho amato.

Non lascio un messaggio molto chiaro in questo scritto sull’autismo e sulle contraddizioni della società al riguardo, ma potremmo dire che il caos che definisce questo mio testo è un bel promemoria del fatto che molte persone autistiche hanno anche l’ADHD

(abbiamo l’ordine per iscritto come concetto astratto, difficile da applicare al di fuori di un concetto astratto, aka: la nostra testolina).

Con amore, baci.

Kbra

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